Film: ‘Batman Begins’

BATMAN BEGINS

Titolo Originale: Batman Begins

Batman BeginsNazione: USA

Anno: 2005

Genere: Fantastico, Drammatico, Azione

Durata: 140′ Regia: Christopher Nolan

Cast: Christian Bale (Bruce Wayne/Batman), Michael Caine (Alfred), Liam Neeson (Henri Ducard/Ra’s al Ghul), Gary Oldman (James Gordon), Katie Holmes (Rachel Dawes), Morgan Freeman (Lucius Fox), Cillian Murphy (Dott. Crane/Spaventapasseri), Rutger Hauer (Bill Earle), Tom Wilkinson (Carmine Falcone), Ken Watanabe (Falso Ra’s al Ghul), Gus Lewis (Bruce Wayne a 8 anni), Linus Roache (Thomas Wayne), Sara Stewart (Martha Wayne)

TRAMA: Un uomo è prigioniero in una fetida prigione della Cina. Il suo nome è Bruce Wayne ed è un miliardario americano alla ricerca di se stesso da quando, ancora giovanissimo, ha perso i genitori vittime di una rapina finita in malo modo, avvenuta appena fuori da un teatro ad opera di un delinquente da strapazzo. Bruce qualche tempo prima era caduto in un pozzo, che si trova nell’ampio terreno intorno alla grande e lussuosa villa di famiglia, in fondo al quale era stato assalito da un nugolo di pipistrelli. Per molto tempo ha vissuto nel terrore di quei momenti, ai quali ha aggiunto poi i sensi di colpa per non aver saputo reagire mentre si consumava la tragedia che ha colpito i suoi cari. In carcere riceve la visita di Henri Ducard, braccio destro di Ra’s al Ghul, capo della Setta delle Ombre, il quale gli offre l’opportunità di unirsi a loro, dopo aver completato un mirato addestramento fisico e mentale finalizzato alla lotta contro la corruzione e la malavita nel mondo. Completata la formazione, Bruce rifiuta di giustiziare un ladro, come prevede il rito di iniziazione e si ribella, scatenando un incendio che distrugge il tempio, sito su una impervia montagna del Nepal. Muoiono tutti tranne lui e Ducard, svenuto e gravemente ferito che egli lascia alle cure degli abitanti di un villaggio più a valle. Tornato a casa, cioè a Gotham City, ad accoglierlo c’è il fido maggiordomo Alfred che ha promesso al padre di Bruce di assisterlo come se fosse figlio suo e l’amica d’infanzia Rachel Dawes la quale ora è assistente del procuratore distrettuale. Gothan City è una città corrotta in mano alla malavita, in particolare al mafioso Carmine Falcone. L’azienda di famiglia invece è gestita da Bill Earle, un uomo senza scrupoli il quale, considerando morto Bruce Wayne a seguito della lunga assenza, ha deciso di trasformare la società in una public company, ovviamente per lucrarne i profitti. Bruce però non è più il ragazzino spaurito e confuso di un tempo, ma un uomo che ha assunto carattere ed ideali che intende mettere a disposizione della città per risanarla, onorando così la memoria del padre. Sfruttando alcune ricerche su materiali ad alta resistenza ed armi avveniristiche studiate nei laboratori della Wayne Enterprise da Lucius Fox, Bruce inventa il personaggio di Batman, utilizzando come rifugio l’ampia grotta sotterranea collegata alla villa che conoscono solo lui ed Alfred. Inizia così la sua lotta personale contro il Male che, oltre a Falcone, comprende anche un ancor più pericoloso avvocato e psichiatra, Jonathan Crane, al soldo di un misterioso capo il quale ha come obiettivo quello di avvelenare tutta la popolazione di Gotham City. Dalla sua parte Batman ha soltanto l’integerrimo detective James Gordon, che a suo tempo l’aveva consolato subito dopo l’uccisione dei suoi genitori, e Rachel, la quale non ha mancato di criticare Bruce per il suo apparente immobilismo nel periodo successivo al ritorno a casa e solo ad un certo punto è venuta a conoscenza della sua nuova identità ed il ruolo che ha assunto. Nel finale si rivela, seppure ampiamente annunciato, il nemico principale di Gotham City e Batman, chiudendo il cerchio della storia ma aprendo anche la strada all’episodio seguente nel quale s’annuncia un nuovo e pericoloso avversario, ‘The Joker’.

VALUTAZIONE: la figura di Batman non si può certo definire una novità dal punto di vista cinematografico. Christopher Nolan però ha interamente re-interpretato il personaggio e la storia, definendo con maggiore dettaglio e personalità la natura e gli obiettivi della sua figura, facendo leva inoltre su una lussuosa scenografia, che ricorda molto le atmosfere cupe ed oppressive di ‘Blade Runner’. Gli interpreti di maggiore popolarità (Michael Caine, Liam Neeson e Morgan Freeman) occupano tutti ruoli secondari, mentre per quello di Batman è stato scelto Christian Bale, più convincente senza maschera però che quando la indossa.                                                              

Scrivendo recentemente di ‘The Amazing Spider-Man’ (clicca sul titolo se vuoi leggere il mio commento) dicevo che si tratta in quel caso di un ‘reboot’, termine tecnico per dire che non è un episodio che si aggiunge ai precedenti della medesima serie, ma che riparte dall’inizio, ignorando quindi in un certo senso le versioni che l’hanno anticipato. Lo stesso si può dire di ‘Batman Begins’ che non prosegue sulla traccia segnata, prima da Tim Burton (due episodi) e poi da Joel Schumacher (la coppia seguente), ma riprende dall’inizio la storia dell’uomo pipistrello con l’intenzione di creare una serie nuova ed autonoma, completandola con due successivi capitoli (‘Il Cavaliere Oscuro’ e ‘Il Cavaliere Oscuro – il Ritorno’). A giudicare dal primo episodio e non ricordando nei dettagli francamente quelli della serie precedente, anzi i due diretti da Schumacher non li ho proprio visti, si direbbe che Christopher Nolan sappia comunque il fatto suo.

Batman Begins 15All’epoca del film in oggetto, già autore dello stravagante ‘Memento’ (anche in questo caso clicca sul titolo se vuoi leggere il mio commento in merito) e di un altro insolito e certamente interessante thriller come ‘Insomnia’, il talentuoso regista inglese, grazie ai notevoli mezzi che gli ha messo a disposizione la Warner Bros. e sfruttando al meglio la scenografia di Nathan Crowley, la fotografia di Wally Pfister e la sceneggiatura che ha condiviso a quattro mani con David S. Goyer, ha centrato l’obiettivo di questa rischiosa operazione, con un’opera che vuol mettere il punto sulla storia di un personaggio il quale, a detta degli esperti ed anche a giudizio del pubblico, in passato era stato ben rappresentato da Burton e decisamente meno invece da Schumacher. Proprio l’insuccesso dei due episodi più recenti tuttavia costituiva l’incognita maggiore da parte di Nolan e soprattutto di chi doveva mettere a disposizione i finanziamenti milionari per la realizzazione di ‘Batman Begins’, considerando il conseguente ed inevitabile calo d’interesse per il personaggio al centro della storia. I quasi 400 milioni di dollari che ha incassato il film rappresentano perciò la migliore risposta ai dubbi, i timori e le remore di partenza. 

Batman Begins 01Certo si fa fatica a riconoscere nel regista di ‘Batman Begins’ lo stesso di ‘Memento’, tale è la distanza non solo nelle tematiche fra le due opere, ma in fondo non sta scritto da nessuna parte che un autore debba per forza di cose rimanere ingabbiato in una specifica categoria o restare per sempre fedele ad uno stile riconoscibile. Nel commentare quest’opera non voglio neppure tentare d’inoltrarmi nel gioco tortuoso, che lascio volentieri agli appassionati,  riguardo le differenze ed il confronto fra la versione di Batman pensata da Burton e quella di Nolan, considerando non significative le altre due di Schumacher. Si può semmai dire, semplificando al massimo, che Tim Burton, come d’altronde è nel suo stile, ha adottato toni decisamente fumettistici e goliardici, disegnando una galleria di personaggi ‘simpaticamente’ cattivi e dissacratori (Jack Nicholson e Danny de Vito su tutti) i quali caratterizzano ed impreziosiscono, rispettivamente, ‘Batman’ e ‘Batman, il Ritorno’ ad un punto tale che sono rimasti nella memoria più ancora di Michael Keaton/Batman stesso.

Batman Begins 16Christopher Nolan ha scelto invece una visione decisamente più seria e realistica, pur nei limiti insormontabili di un personaggio di fantasia, cercando di dare consistenza alla sua figura psicologica, soprattutto riguardo la fase precedente la discesa in campo con il noto costume. Ne è uscita un’opera che è difficile, ad esempio, collocare temporalmente. In che epoca si svolge? All’inizio, nel campo di prigionia, sembra di essere in Indocina al tempo della guerra in Vietnam, se non addirittura fra i giapponesi durante la seconda guerra mondiale; subito dopo, nella fase di addestramento in Nepal, l’ambientazione ricorda persino rituali di stampo medioevale; in seguito, tornando all’infanzia di Bruce Wayne, la cornice potrebbe essere quella dell’epoca dei gangster alla Al Capone, per poi giungere al presente quando egli torna a casa e, per concludere questa sintetica rassegna, addirittura viene proposto un futuro immaginario quando Bruce si trasforma nel personaggio del titolo, sfruttando le geniali invenzioni che Lucius Fox (Morgan Freman) ha realizzato nei laboratori della stessa azienda di proprietà della famiglia Wayne. Solo allora Batman indossa la sua originale armatura di destinazione militare, sembianze a parte (‘…progettata per la fanteria pesante, corazza in kevlar, giunture rinforzate… Perché non sono state messe in produzione? < chiede Bruce>… Non avevano pensato che la vita di un soldato non vale 300.000 dollari… <risponde Lucius>’) e guida la sua incredibile BatMobile contro i criminali intenzionati a distruggere l’intera città di Gothan City, dall’architettura avveniristica (per quanto decisamente inquetante) ma moralmente marcia al suo interno e dominata da personaggi come Carmine Falcone (Tom Wilkinson), il Dott. Crane il quale diventa in seguito lo ‘Spaventapasseri’ (Cillian Murphy) e l’arrogante e spregiudicato Bill Earle (Rutger Hauer). Considerati singolarmente essi rappresentano, pur da punti di vista diversi fra fantasy e reality, prototipi dell’umana cattiveria, arrivismo, egoismo e follia…(leggi il resto del commento cliccando qui sotto su ’Continua a leggere’)

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Film: ‘Biancaneve e il Cacciatore’

BIANCANEVE E IL CACCIATORE

Titolo Originale: Snow White & The Huntsman

 Nazione: USA 

Anno:  2012  

Genere:  Fantastico, Avventura

Durata:  126′  Regia: Rupert Sanders

Cast: Kristen Stewart (Biancaneve), Charlize Theron (Ravenna, la strega), Chris Hemsworth (Eric, il Cacciatore), Sam Claflin (Principe William), Vincent Regan (Duca Hammond), Noah Huntley (Re Magnus), Liberty Ross (Regina Eleanor), Ian McShane (Beith), Bob Hoskins (Muir) 

TRAMA:  Rimasto prematuramente vedovo della regina Eleanor, il re Magnus si trova a dover difendere il regno attaccato dall’Armata Oscura. La battaglia contro un esercito costituito da soldati che hanno il corpo di vetro volge a suo favore quando viene trovata dentro un carro una splendida donna, apparentemente scioccata ed inerme, della quale Magnus s’innamora immediatamente. Le nozze conseguenti dovrebbero servire anche a restituire una madre alla giovane figlia del re, Biancaneve, ma la nuova regina Ravenna in realtà è una strega al comando della stessa Armata Oscura, la quale uccide il re la prima notte di nozze e subito dopo consente alla sua Armata di entrare facilmente nel castello. Biancaneve viene quindi imprigionata in un stanza dove resta chiusa per anni. Ravenna, per mantenersi giovane e bella ha bisogno di succhiare letteralmente la bellezza di tutte le giovani che potrebbero competere con lei. Quando viene a sapere dallo specchio delle sue brame che Biancaneve è destinata a diventare la più bella del reame, ordina al fratello Finn di ucciderla e portarle il suo cuore per garantirsi eterna gioventù e bellezza. Biancaneve però riesce a fuggire sfruttando i condotti delle fogne ed a rifugiarsi nel Bosco Oscuro, dove la strega ed il suo specchio non hanno alcun potere. Ravenna allora dà l’incarico di catturarla a Finn ed il cacciatore Eric, un uomo alla deriva dopo la morte dell’amata moglie Sarah ma esperto di quel Bosco, al quale in cambio la strega promette di far risorgere l’amata consorte. Quest’ultimo scopre facilmente Biancaneve ma quando lei lo mette in guardia sull’inganno di Ravenna riguardo la resurrezione della moglie ed lo stesso Finn lo schernisce per la sua ingenuità, Eric si ribella e fugge con Biancaneve, raggiungendo infine un lago sul quale sorge un villaggio costruito su palafitte abitato da donne che si sono volontariamente sfregiate per sfuggire alla strega e dove egli viene informato sulla reale identità di Biancaneve. Il villaggio viene attaccato dal fratello di Ravenna ed i suoi uomini, ma Biancaneve ed il cacciatore riescono ugualmente a fuggire. Poco dopo essi vengono fatti prigionieri da otto nani, ma uno di essi riconosce la principessa appena in tempo per liberarli al sopraggiungere ancora una volta dei soldati. Uno dei nani muore e perciò restano in sette a disposizione di Biancaneve per scortarla sino al castello del duca di Hammond, amico del padre della principessa, il cui figlio William era un tempo il suo compagno di giochi preferito. Finn nel frattempo è stato ucciso da Eric con il quale si era vantato di essere l’assassino della moglie Sarah. Ravenna decide quindi d’intervenire personalmente ed assume le fattezze di William, inducendo Biancaneve a mangiare una mela avvelenata per addormentarla e strapparle quindi il cuore. Non riesce in quest’ultimo intento solo grazie all’intervento del cacciatore e del vero William, fuggendo tramutata in uno stormo di corvi. Biancaneve viene considerata priva di vita e trasportata al castello di Hammond, dove il suo apparente cadavere viene esposto in una sala. L’ultimo saluto del cacciatore che la bacia sulle labbra provoca però il miracoloso risveglio della principessa. Fra l’entusiasmo di William, Eric e il duca di Hammond, del popolo oppresso dalla strega e dei soldati, Biancaneve si pone alla guida dell’esercito che attacca il castello di Ravenna per porre fine alla sua mortificante oppressione.

VALUTAZIONE: versione dark-barocca della favola di Biancaneve destinata però ad un pubblico in grado di assorbire senza traumi alcune scene di battaglia e di violenza mai cruente ma comunque non proprio indicate per i più giovanissimi e gli animi sensibili. Ammirevole ed incantevole Charlize Theron nei panni della strega, mentre Kristen ‘Twilight’ Stewart in quelli di Biancaneve ne subisce la personalità ed il confronto, anche fisico. Si vede che l’esordiente regista Rupert Sanders proviene dalla pubblicità per l’eleganza delle immagini, delle inquadrature e dell’ambientazione, seppure è chiaramente debitore nei confronti di autori quali Tim Burton e Peter Jackson (‘Il Signore degli Anelli’). Un’opera spettacolare ed apprezzabile se non si sta troppo a sottilizzare su alcune evidenti lacune.                                                                                                                                                                                                                                                                 

Pare che i vecchi classici delle favole siano tornati di moda sull’onda di ‘Alice in Wonderland’ di Tim Burton. In questa stagione, ad esempio, sono già uscite due versioni per adolescenti ed adulti non troppo esigenti della storia di Biancaneve, la più originale delle quali sembra proprio questa. Realizzata da un regista esordiente di provenienza pubblicitaria (e si vede) il quale mostra di aver ben imparato la lezione su come rivisitare una storia arcinota che proviene dalla tradizione popolare tedesca, poi rielaborata dai fratelli Grimm, questa versione di genere dark-barocco mantiene gran parte della struttura narrativa del noto classico letterario e cinematografico, sfoggiando però un’ambientazione completamente rinnovata, unita ad una caratterizzazione dei personaggi principali molto meno indirizzata ad un pubblico femminile. Senza eccezione riguardo la figura di Biancaneve stessa, la quale appare quindi molto diversa dall’iconografia cui siamo stati abituati a riconoscerla sin dall’infanzia.

Lo stile del film sembra sposare comunque la teoria nei riguardi dei fratelli Grimm, accusati da molti pedagoghi e psicologi di aver infarcito alcune delle più note favole per bambini (‘Cappuccetto Rosso’, ‘Hansel & Gretel’, ‘Cenerentola’…), di riferimenti tutt’altro che innocenti, provocando a volte incubi di varia natura che ai più piccoli e sensibili sono poi rimasti impressi a lungo, più o meno inconsciamente. Senza allargarmi troppo al riguardo, non essendo questa di certo la sede opportuna per un approfondimento, è evidente però l’intento degli autori di dare a quest’opera un taglio decisamente più moderno, nonostante la storia sia ambientata in un’epoca piuttosto lontana e di aver puntato ad una intonazione vicina al linguaggio estetico ed il profilo caratteriale del pubblico giovanile (seppure non più della prima infanzia) spesso attratto da film che si distinguono per le doti spettacolari ed i lugubri scenari. Il target di pubblico destinatario di ‘Biancaneve e il Cacciatore’ quindi non è più quello al quale questa fiaba era inizialmente destinato, ma gli stessi autori hanno addirittura puntato a coinvolgere pure una fetta di pubblico più adulto, quello perlomeno non particolarmente esigente ed attento ad un cinema di alti contenuti e disponibile quindi ad essere benevolo sull’analisi approfondita dei personaggi e di alcuni particolari della loro storia.

Rispetto al titolo originale della fiaba, familiare e rassicurante (ovvero ‘Biancaneve e i Sette Nani’), nel caso di ‘Biancaneve e il Cacciatore’ s’intuisce l’intenzione di Rupert Sanders di adeguare la storia ed il titolo medesimo ad una forma più vicina ai gusti attuali, allettante ed al tempo stesso che include un pizzico provocatorio di ambiguità, a mezza via fra il candore della principessa ed il mestiere, presumibilmente rude e spiccio, del cacciatore. Anche così però il titolo resta comunque fuorviante rispetto a ciò che in realtà traspare nel film durante la visione, vale a dire che la vera star la quale si guadagna sul campo i galloni della protagonista è una terza figura, vale a dire la strega Ravenna, interpretata con grande personalità ed appeal da Charlize Theron, la quale non solo incanta le sue vittime nella finzione ma evidentemente riesce ad ammaliare anche il pubblico in sala, elevandosi di una spanna rispetto alla coppia Kristen Stewart e Chris ‘CacciaThor’ Hemsworth (recente protagonista maschile, appunto, di ‘Thor’).

Sia chiaro, non condivido chi a spada tratta (è proprio il caso di dirlo) si è scagliato contro la scelta nel ruolo di Biancaneve della giovane che impersona Bella, l’amichetta del vampiro Edward nella saga ‘Twilight’; ancor di più mettendola a confronto con la statuaria Charlize, perchè da sempre è risaputo quanto sia più facile colpire l’attenzione e l’immaginario dello spettatore con un personaggio malvagio ed una recitazione sopra le righe, rispetto invece alla più banale e rassicurante figura che gli viene contrapposta di solito. Oltre al fatto che la favola di Biancaneve stessa, se non ricordo male, disegna un personaggio di donna dal carattere dolce e d’infinità bontà ma in fondo asessuata, anche a voler considerare la comparsa ad un certo punto del principe azzurro e nella quale quindi la bellezza dei tratti è puramente decorativa, come confermano anche i sette nani quando la trovano a casa loro addormentata e restano incantati ad osservarla. Indubbiamente nel film di Sanders entrambe le figure femminili, pur senza addentrarsi mai in scene di stampo erotico, possiedono un fascino ben diverso da quello della favola e non potrebbe essere diversamente dopo quello che è stato sottolineato sinora…(leggi il resto del commento cliccando qui sotto su ’Continua a leggere’)

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Film: ‘Neverland – Un Sogno Per La Vita’

NEVERLAND – UN SOGNO PER LA VITA

Titolo Originale: Finding Neverland

Nazione: USA, Regno Unito 

Anno:  2004 

Genere:  Drammatico, Biografico

Durata:  101′  Regia: Marc Forster

Cast: Johnny Depp, Kate Winslet, Julie Christie, Radha Mitchell, Dustin Hoffman, Freddie Highmore, Nick Roud, Joe Prospero, Luke Spill, Kelly McDonald

 

TRAMA: James Matthew Barry è uno stimato commediografo londinese che non trova però la giusta ispirazione per far esplodere e valorizzare appieno il suo talento. Anche il suo matrimonio non funziona più perché la moglie Mary non comprende lo spirito volitivo ed anticonvenzionale del marito. James passa molto tempo al parco con il suo cane a concentrarsi per trovare nuove idee. Un giorno conosce una vedova, Sylvia Llwelyn Davies ed i suoi quattro figli, con i quali inizia a giocare. In seguito gli appuntamenti fra lui ed i ragazzi diventano sempre più frequenti e stretti sotto lo sguardo compiaciuto della madre, suscitando pero’ in breve tempo i pettegolezzi della gente, l’ostilità della madre di Sylvia e la gelosia di Mary. Sylvia è malata gravemente, fra lei e James non c’è il tempo perché l’amicizia profonda che è cresciuta fra loro nel frattempo si trasformi in qualcosa di più completo, però l’affetto sincero di James per lei ed i suoi figli le è di grande conforto. Prendendo appunti durante gli incontri e inventando nuovi giochi assieme ai bambini, James si ritrova infine fra le mani una commedia teatrale la cui messa in scena, fuori dai canoni, incontra lo scetticismo del suo impresario Charles Frohman, il quale ha pur sempre avuto nei suoi confronti grande stima. La prima della storia di Peter Pan ottiene invece un successo strepitoso, grazie all’inventiva della rappresentazione, i personaggi originali che ne fanno parte ed una geniale idea di James riguardo la presenza del pubblico in sala. Sylvia è oramai in punto di morte, ma James alla fine dello spettacolo riunisce la compagnia e corre a casa di lei per replicare immediatamente lo spettacolo nel salotto fra la commozione dei presenti, trasmettendo l’illusione a tutti che ‘Neverland’, cioè ‘L’isola che non c’è’, possa esistere davvero: basta crederci e lasciarsi trasportare dalla fantasia.   

VALUTAZIONE: sarà la presenza di Johnny Depp, ma in alcuni momenti si ha l’impressione di assistere ad un film di Tim Burton, per la sovrapposizione di realtà, fantasia e figure dell’immaginario infantile. Una storia non perfettamente riuscita ma di grande emotività, senza che si abbia mai la sensazione però che nasca da un’operazione artefatta e stucchevolmente costruita. Ottimo il cast degli interpreti.

 

Nominando ‘Neverland’ viene subito in mente, per associazione, Michael Jackson che aveva tentato di costruirne una a sua misura, nel bunker dentro il quale si era auto segregato prima della tragica fine. Un bambino cresciuto troppo in fretta oppure mai abbastanza, anche se può sembrare una contraddizione, come il protagonista del film di Marc Forster.

L’Isola che non c’è’ invece, in maniera forse meno eclatante poiché  nostrana, fà tornare alla memoria un’oramai datata canzone di Edoardo Bennato il cui testo nella parte finale sembra però descrivere per filo e per segno il significato di quest’opera: ‘…Seconda stella a destra questo è il cammino e poi dritto, fino al mattino, poi la strada la trovi da te, porta all’isola che non c’è. E ti prendono in giro se continui a cercarla ma non darti per vinto perché, chi ci ha già rinunciato e ti ride alle spalle, forse è ancora più pazzo di te…’.

E’ curioso che un film come ‘Neverland’, costruito sull’esaltazione della fantasia, sul trionfo dell’immaginazione sulla razionalità, inizi con una dichiarazione contraria a quanto viene specificato di solito dagli autori cinematografici in calce alle loro opere ed in contraddizione con lo stile adottato dal regista Mark Forster nell’occasione: ‘ispirato a fatti realmente avvenuti’. La storia infatti riguarda lo scrittore ed autore teatrale James Matthew Barry dalla cui fervida creatività è uscita la celeberrima storia di Peter Pan. Il film dell’autore in seguito de ‘Il Cacciatore Di Aquiloni’ ne ripercorre alcuni tratti, ovviamente con molte licenze rispetto agli eventi realmente accaduti, mantenendo però la sostanza.

James è un genio incompreso, con l’espressione sempre un po’ svagata e quella sorta di asincronia nello sguardo e bizzarria nelle scelte che qualcuno definisce di solito creatività ingegnosa, cioè quella che ha fatto la fortuna dell’accoppiata Tim Burton/Johnny Depp. Il protagonista de ‘Il Pirata Dei Caraibi’ nell’occasione sembra rappresentare se stesso, un sorta di omaggio e di sintesi dei personaggi particolari che hanno contrassegnato la sua carriera sinora: un po’ ‘Edward Mani di Forbice’, un po’ ‘Jack Sparrow’ ed un po’ ‘Cappellaio Matto’ di ‘Alice in Wonderland’. Di sicuro, in ‘Neverland’, una persona dalla sensibilità artistica fuori dal comune e dagli schemi abituali, che si comporta e relaziona in maniera anomala e realizza opere teatrali prodotte dal redivivo Dustin Hoffman, il quale mette un po’ di tristezza per l’esigua parte recitata, seppure resa in maniera inappuntabile. Jack mette in scena opere teatrali di alterna qualità e fortuna che la ricca borghesia londinese attende con grandi aspettative pari alla delusione che poi non si perita di mostrare, come nel caso dell’ultima commedia dalla quale il film muove i primi passi…(leggi il resto del commento cliccando qui sotto su ’Continua a leggere)

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Film: ‘Alice In Wonderland’

ALICE IN WONDERLAND

Titolo Originale: Alice in Wonderland

Nazione: USA  Anno:  2010  Genere:  Fantasy

Durata:  108′  Regia: Tim Burton

Cast: Mia Wasikowska, Johnny Depp, Anne Hathaway, Helena Bonham Carter, Michael Sheen, Alan Rickman, Stephen Fry, Crispin Glover, Christopher Lee

Lo confesso: non ho mai letto ‘Alice nel paese delle meraviglie’, la notissima favola di Lewis Carroll, anche se ne conosco a grandi linee la storia. Tim Burton, autore di punta della cinematografia attuale che ama rivisitare favole e storie di fantasia con uno stile personalissimo ed oramai immediatamente riconoscibile, a mezza via fra il gotico/dark e l’animazione e che ha trovato nell’attore Johnny Depp il suo alter ego ideale, ha apportato alcune modifiche al testo originario, integrandolo con un altro romanzo di Carroll che è una sorta di continuazione del primo, ‘Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò’, entrambe le opere citate nei titoli.

Diciamo quindi che nessuno meglio di lui era indicato per rileggere e riproporre questa classica storia. Come mostra chiaramente la stessa locandina, ha messo insieme, magicamente come nel romanzo di origine, personaggi in carne ed ossa, con altri truccati come clown oppure in forma di cartoon, magistralmente integrati dalla computer graphics. Seguendo infine il trend attuale ha rieditato il tutto in formato 3D che a suo avviso però, più che un mezzo di ulteriore richiamo pubblicitario, è ideale in questo caso per far risaltare immagini e contenuti della sua opera.

Io purtroppo ho visto solo la versione televisiva, pur esaltata dall’alta definizione. E ci ho trovato tutto il Tim Burton che conoscevo prima, con un’attenzione ed un gusto maniacale dell’estetica e della fantasia creativa che nasce da un bambino, quale in fondo è rimasto, che trova quindi suo complemento in un adulto che conosce perfettamente tutti i meccanismi tecnici ed espressivi della settima arte e li usa come giocattoli dalle possibilità quasi infinite.

Molte sequenze ed inquadrature sono come dei dipinti o possibili poster e si resta ammirati dal suo gusto, pur così particolare ed improntato a realizzare una sorta di evoluzione del classico cartone animato di disneyana memoria, con molte note di una tristezza e malinconia però, come chi in fondo si sente incompreso e parte di uno scomodo mondo reale da reinventare, attraverso una forma espressiva che offre infinite opportunità comunicative. Da questo punto di vista ‘Alice in wonderland’ mantiene appieno le promesse e dona ulteriore lustro al suo autore.

Cosa c’è che non funziona allora? Innanzitutto un sottile senso di deja-vu. Tim Burton ci ha abituato ad essere innovativo: da ‘Edward mani di forbice’ a ‘Big Fish’ allo stesso ‘Batman’ e quindi ‘La sposa cadavere’ e ‘La fabbrica di cioccolato’. Ognuna di queste opere, nel suo genere rappresenta un punto di svolta, una evoluzione o perlomeno una diversa rivisitazione rispetto a quello che era stato detto sullo stesso tema in precedenza, mentre ‘Alice in wonderland’ sembra invece come una summa, quasi un omaggio, una serie di citazioni che l’autore fa di se stesso, un’operazione perciò di maniera.

In più, al di là del significato che questa fiaba rappresenta per molti, le innovazioni che l’autore ha apportato alla storia originale: Alice non più bambina, ma diciannovenne che fugge per non dover sposare un nobile privo di qualsiasi appeal e che seguendo il bianco coniglio finisce dentro il buco di un albero e quindi scivola giù, sino ad arrivare in un mondo di fantasia nel quale gli animali parlano come nei suoi sogni ed è pieno di ambiguità, tant’è che si chiama Underworld, piuttosto che Wonderland, e quindi l’eterna lotta fra il Bene (la Regina Bianca) ed il Male (sua sorella, la Regina Rossa) dentro la quale si ritrova coinvolta suo malgrado, uscendone infine più matura, convinta e consapevole sul diritto di decidere della sua vita senza condizionamenti altrui, sono rielaborate con uno stile che mano a mano invade l’opera, non molto dissimile, nelle immagini e nei contenuti rispetto alle storie di avventure che funzionano meglio oggigiorno, sia nella letteratura che al cinema, come ‘Narnia’, ‘Il signore degli anelli’, ‘La bussola d’oro’… togliendole perciò ogni velleità di originalità.

E’ difficile che un film sia così dipendente ed in simbiosi con il suo regista come capita invece con Tim Burton ed io stesso mi rendo conto sinora di aver parlato molto di lui e del suo rapporto con il cinema. E dire che oltre al già citato Johnny Depp, qui nei panni ultra truccati del Cappellaio Matto, ci sono signori interpreti come Helena Bonham Carter, la perfida Regina Rossa, quasi irriconoscibile nel trucco, a metà fra realtà e fantasia; la poco nota ed algida Alice impersonificata da Mia Wasikowska e la marmorea Anne Hathaway, già vista in ‘Becoming Jane’, nei panni invece della buona ma anche un po’ ambigua Regina Bianca, oltre ad un ‘invisibile’ cammeo di Christopher Lee, che incombe (ma solo come voce nell’originale) nelle ‘vesti’ del mostro, qui rappresentato dal drago Ciaciarampa.

Numerose come dicevo sono le sequenze di grande eleganza formale ed impatto visivo, il trionfo dei colori, degli accostamenti e delle sfumature, i doppi sensi rappresentati dai singoli personaggi, le invenzioni anche riguardo il solo nome (valga per tutti il simpaticissimo ‘Stregatto’, un pacioso e saggio micione che appare e scompare andando in aiuto dei buoni, quando serve un intervento risolutore), per cui questa versione della storia di Alice resta comunque impressa nella memoria. Se paragonata ad altre opere dello stesso genere, stiamo parlando comunque di eccellenza.

Conoscendo la classe e la fervida fantasia e creatività di Tim Burton, si può tuttavia affermare che da lui ci si aspetta sempre il meglio, il colpo di teatro che in questo caso purtroppo non è venuto. Tutt’al più un lungo omaggio, un po’ vanesio se vogliamo, alla sua innegabile maestria, attraverso una storia universale alla quale non ha però aggiunto nulla ed anche laddove ha cercato di uscire un poco dallo stereotipo non è riuscito a convincere ed a lasciare quel segno indelebile che riguarda invece altre sue opere precedenti.

Film: ‘Dorian Gray’

DORIAN GRAY

Titolo Originale: Dorian Gray

Nazione: GBR  Anno:  2009  Genere:  Dramma Metaforico

Durata:  112′  Regia: Oliver Parker

Cast: Ben Barnes, Colin Firth, Ben Chaplin, Rebecca Hall, Douglas Henshall, Rachel Hurd-Wood, Maryam D’Abo, Michael Culkin, Emilia Fox

Contrariamente al mio solito, ho visto il film prima di aver letto questo celebre romanzo di Oscar Wilde. Non sono quindi in grado di fare dei raffronti, ma è facile supporre che le ‘licenze’ che si sono concessi gli autori rispetto all’opera originaria siano parecchie, ad iniziare dall’ambientazione che è espressa in un elegante stile gotico con parecchie venature horror, in ossequio ai gusti attuali del pubblico adolescente (e non), con riferimenti che partono da Tim Burton per arrivare sino alla saga di ‘Twilight’.

Sin dal titolo, d’altra parte, gli autori mostrano di volersi distinguere dal racconto di Oscar Wilde, che si chiama difatti ‘Il ritratto di Dorian Gray’. In realtà il ritratto c’è anche nel film ed ha anzi un’importanza strategica nell’evoluzione della trama, però questo difformità è evidente nell’impronta del film, che usa la metafora soprattutto come mezzo visivo, più che concettuale, allo scopo di catturare, più facilmente e superficialmente, lo spettatore. Il quale poi si ritrova pure incalzato da musiche e ritmi moderni, in un contesto che, pur ambientato all’epoca che arriva sino alla comparsa delle prime automobili in una Londra dal grande fascino espressivo (ottima la fotografia di Roger Pratt, suggestiva ed elegante), evidentemente strizza l’occhio alle atmosfere dark che piacciono così tanto a molti giovani d’oggi. Basta anche dare un occhio alla locandina del film…

Sgombrato il campo dal confronto con il romanzo, per me oltretutto impossibile, lo ripeto, non avendolo ancora letto e quindi non essendomi possibile tracciare un quadro riguardo la fedeltà al racconto ed ai contenuti, il film, comunque preso a se stante, mi ha convinto solo a metà.

Il tema è indubbiamente affascinante. Un giovane di belle maniere ed aspetto (Ben Barnes) che, grazie ad una ricca eredità, entra nel bel mondo di Londra e viene plagiato da un mefistofelico, cinico e dissoluto Colin Firth per diventare un ‘animale’ senza scrupoli votato alla pura ricerca del piacere, costi quel che costi e senza alcun limite. Lasciando la parte le implicazioni etiche (il discorso si farebbe troppo lungo), ne sortisce una specie di patto con il diavolo: Dorian Gray, adulato ed adorato dalla migliore gioventù della Londra perbene, senza confini persino di sesso, ‘vende’ la sua anima per rimanere giovane e bello, al di là delle regole della natura e persino delle opportunità offerte dai lifting attuali, per godersi la vita nelle sue più sfrenate passioni della carne e del vizio. Il diavolo è rappresentato da un dipinto che un pittore omosessuale (Ben Chaplin) realizza e dona al giovane Dorian Gray poco dopo il suo ingresso nella ‘Bella Società’ e che, posto in bella mostra nella sala della sua prestigiosa dimora, sembra parlare e vivere, piuttosto che essere una rappresentazione statica, per quanto riuscita. Il patto diabolico però determina che ad invecchiare sia l’immagine del quadro anziché quella fisica di Dorian Gray, così che è costretto a nasconderlo in soffitta e a non mostrarlo più a nessuno, a costo di dover persino eliminare chi, incuriosito, cerca di scoprirne le strane ragioni. Nel frattempo, nella corsa verso il piacere assoluto che non ammette sentimentalismi e debolezze, ci vanno di mezzo una brava ed ingenua ragazza (la splendida Rachel Hurd-Wood), il pittore stesso e chiunque intorno a lui s’illuda di poter controllare in qualche modo la fame illimitata di piacere di Dorian Gray, persino chi l’ha provocata, ovvero il suo mentore.

Come avveniva però per alcuni personaggi di Dracula rappresentati sullo schermo in maniera più metaforica e malinconica, piuttosto che solo per spaventare qualche spettatore troppo sensibile e se vogliamo persino l’Edward della già citata saga ‘Twilight’, il non poter invecchiare e la ripetitività senza tregua nella ricerca del piacere fine a se stesso, diventano con il tempo un fardello troppo pesante da sopportare anche per Dorian Gray. Le conseguenze è giusto che si scoprano vedendo il resto del film.

Cosa funziona e cosa no nel film? Un grande vantaggio lo trae dal tema proposto: quanto giusto ed appropriato sia lasciarsi travolgere solo dall’istinto, dall’egoismo, dall’edonismo, lasciando da parte i  freni inibitori, più che dar retto alla ragione ed all’equilibrio, nel rispetto di sé e degli altri. Peccato che l’opera di Oliver Parker (che leggo essere un appassionato dei classici letterari, avendo già messo in scena un ‘Othello’ ed un’altra commedia di Wilde ‘L’importanza di chiamarsi Ernesto’, che non mi pare però abbiano lasciato alcun segno tangibile) si perde in una sorta di bulimia di patinate sequenze erotiche nelle quali, però, contraddittoriamente, è più quello che non si vede e che soprattutto non eccita, piuttosto che approfondire o rileggere le tematiche, pur profonde, che traspaiono nell’opera e che avrebbero senza dubbio reso il film di Oliver Parker più interessante ed originale.

Lo stesso protagonista Ben Barnes è un Dorian Gray plausibile dal punto di vista estetico, ma molto limitato come personalità e carisma per rappresentare al meglio una figura così complessa e travagliata. Lo stesso regista sembra più portato a saccheggiare alcuni generi (il finale ad esempio è decisamente horror, mentre la parte iniziale è da commedia classica di costume) ed opere dalle quali trarre ispirazione, non riuscendoci però, per mettere insieme un collage alla moda che possa incontrare i favori del più vasto pubblico, attraverso un linguaggio cinematografico più vicino possibile ai gusti dei più giovani ed al fascino che può rappresentate un personaggio bello e ‘maledetto’.

Resta il contorno, che è di primordine: fotografia, già detto, ma anche costumi, ambientazione, esaltati dall’alta definizione. In definitiva un film che appare purtroppo come una operazione un po’ furbina di trasposizione di una nota opera letteraria, sfruttando i migliori mezzi tecnici che il cinema d’oggi offre, per incontrare le mode del momento in una evidente operazione di botteghino.

Se un merito c’è infine, è quello che viene una gran voglia di leggere il romanzo di Wilde, perché ciò che risalta nel corso di ‘Dorian Gray’ è l’assoluta attualità ed universalità dei temi proposti, pur essendo stato scritto, il romanzo, alla fine del secolo scorso e questo la dice lunga ovviamente sulla sua fama che si protrae ancora ai nostri giorni.