Film: ‘The Tree Of Life’

THE TREE OF LIFE

Titolo Originale: The Tree Of Life

Nazione: USA

Anno: 2011

Genere: Drammatico, Filosofico, Surreale

Durata: 138′ Regia: Terrence Malick

Cast: Sean Penn, Brad Pitt, Jessica Chastain, Hunter McCracken, Laramie Eppler, Tye Sheridan, Fiona Shaw                                                                                                                                                                          

TRAMA: Jack è ancora un ragazzino negli anni cinquanta e vive con i genitori ed i due fratelli minori in un tranquillo ed ordinato paesino del Texas. Il padre è molto severo e pragmatico, la madre invece è dolce e protettiva. I ragazzi trascorrono gli anni dell’infanzia e poi dell’adolescenza fra divertimenti, bravate e con le problematiche tipiche della loro età. Il padre vorrebbe che i figli crescessero forgiati agli inevitabili ostacoli di una società fortemente competitiva ed è quindi molto duro nell’imporre i dogmi della sua educazione, mentre la madre rappresenta con la sua grazia e dedizione il rifugio sicuro per le incertezze della loro giovane età. Un equilibrio che è destinato a rompersi quando il figlio di mezzo muore all’età di 19 anni, lasciando il padre nell’angoscia e nel rimorso per averlo trattato con intransigenza in passato e la madre annientata dal dolore al quale non intende rassegnarsi. Jack intanto è diventato adulto, un architetto che lavora fra i grattacieli di un grande centro direzionale ma è costantemente turbato dal ricordo del fratello e dagli interrogativi che riguardano la vita, la morte, l’universo ed i fenomeni che interagiscono fra loro in maniera imprevedibile ed incontrollabile. Egli sogna di potersi ricongiungere spiritualmente con tutti i suoi familiari in un luogo immaginario nel quale si realizzi l’unità e la solidarietà fra i suoi cari, come baluardo e certezza rispetto a tutto ciò che è evanescente ed effimero.

VALUTAZIONE: uno dei film più complessi e controversi cui si possa assistere: irritante, affascinante, inusuale, coinvolgente e scostante. Sono solo alcuni degli opposti aggettivi possibili per descriverlo. Straordinaria l’eleganza formale ed allegorica delle sequenze che mostrano la potenza e la grandezza della Natura. A livello di contenuti invece è un’opera destinata a dividere nettamente gli spettatori fra chi ne apprezza la forza espressiva, la profondità dei temi ed il coraggio, rispetto a chi la detesta, trovandola insopportabilmente ermetica e pretenziosa.                                                                                                                                                                                                                                                               

Un film così, o lo ami, o lo rifiuti: non ci sono mezze misure. Di sicuro ti spiazza, che tu sia preparato o meno ad affrontarlo. Dopodichè, non basta essere un appassionato di cinema per apprezzarne la complessa struttura ed i delicati e profondi tasti che riesce a toccare nell’animo di qualunque persona sensibile e disponibile a recepirne il senso, figuriamoci un qualsiasi ignaro spettatore che entra in sala o è seduto sul divano di casa davanti al TV, pregustando due ore di divertimento e relax, e si trova invece di fronte ad un’opera così impegnativa e diversa dalla norma. C’è da restarne inizialmente basiti, quindi incuriositi, poi infastiditi, delusi, irritati, con un’altissima probabilità di abbandono già dopo meno di un’ora; oppure, allo stesso modo, c’è da restare ancora inizialmente basiti ed incuriositi, ma poi viceversa affascinati, stregati, attoniti ed infine forse persino commossi. Non ci sono alternative a queste due direttrici emotive. Spettatore avvisato… con quello che ne segue, riadattando il noto proverbio; prendere o lasciare insomma.

Terrence Malick è l’autore più estemporaneo del panorama cinematografico americano. Cinque soli film in trentanove anni danno un’idea, già per loro conto, dell’atipicità ed estrosità del personaggio: da ‘La Rabbia Giovane’ del 1973, a ‘I Giorni Del Cielo’ del 1978, a ‘La Sottile Linea Rossa’ del 1998, a ‘The New World – Il Nuovo Mondo’ del 2005, per arrivare infine a ‘The Tree Of Life’ del 2011, un’opera che ha richiesto due anni buoni di gestazione prima di uscire finalmente sugli schermi, dopo aver generato nel frattempo notevoli aspettative ed un’inevitabile ridda di supposizioni fra gli addetti ai lavori.

Malick ricorda per molti aspetti un altro autore sui generis come Stanley Kubrick: per la scarna filmografia; per la lunga attesa fra un’opera e l’altra; per la ricerca della perfezione in ogni inquadratura; persino nella scelta rigorosa e per nulla secondaria delle musiche; per essere autore a tutto tondo riguardo regia, soggetto e sceneggiatura e per la scontrosità, leggi anche riottosità, ad apparire sui media ed a concedere interviste. Naturalmente non basta giocare a nascondino oppure assumere atteggiamenti da burbero per meritarsi un attestato sulle qualità artistiche. I titoli che ho citato innanzi sono diventati infatti tutti dei cult nel loro genere, differente di volta in volta. In ognuno dei film di Malick c’è qualcosa che lo distingue dagli altri, anche riguardo argomenti già ampiamente sviscerati da autori precedenti che lui però affronta da una prospettiva assolutamente personale.

Immaginate a questo punto, e lo dico nel tentativo di semplificare il tutto, un incontro fra il rigore formale ed il conflitto figli-padri e padri(uomini)-Dio de ‘Il Nastro Bianco’ di Michael Haneke; la visionaria eleganza e la sontuosità di ‘2001 Odissea Nello Spazio’ di Stanley Kubrick; l’analisi socio-culturale di ‘American Beauty’ di Sam Mendes; infine l’indecifrabile esercizio stilistico di David Lynch in ‘INLAND EMPIRE – L’Impero della Mente’ e vi siete solo in parte avvicinati a quello che è in realtà ‘The Tree Of Life’. Un’opera enigmatica, che rifiuta tutti i canoni abituali dello spettacolo per avvitarsi su se stessa, introversa e scostante, senza concessioni alla platea che vadano oltre la maniacale ricerca prospettica, l’inquadratura studiata nei minimi particolari a supportare temi di amplissimo respiro ma quanto mai tortuosi, se non addirittura ermetici, al punto che taluni potrebbero bollarla al contrario come uno sterile esercizio di manierismo fine a se stesso quindi, per quanto interpretata da due icone come Brad Pitt e Sean Penn. Qualcuno anzi a tal proposito potrebbe insinuare che due nomi così popolari per il grande pubblico siano stati scritturati come esca per attirare il maggior numero di  spettatori, illudendoli riguardo un prodotto che appare poi al lato pratico completamente diverso dalle aspettative. Chi conosce un poco la biografia di Terrence Malick sa però che non solo in passato ha rifiutato stelle come lo stesso Pitt, Di Caprio e Kevin Costner, disposte a recitare persino gratis per lui, ma non ha avuto esitazioni nell’escludere del tutto, dalla versione finale di una sua opera precedente, nomi come Mickey Rourke, Gary Oldman e Martin Sheen, ritenendo le scene girate che li vedeva protagonisti non funzionali al risultato che voleva ottenere…(leggi il resto del commento cliccando qui sotto su ’Continua a leggere’)

Vi siete spaventati? Beh, un po’ ne avete donde ed è inutile girarci troppo intorno, questo è un film che richiede molta pazienza, molta umiltà, tanta predisposizione d’animo ed anche un’adeguata preparazione prima di essere affrontato, meglio ancora una seconda visione per rivederne perlomeno alcuni punti e meglio chiarirne il significato, almeno in parte, perchè in toto credo sia comunque difficile, se non impossibile. D’altra parte, non si può andare in auto senza saper guidare; non ci si può gettare in mare senza saper nuotare; non si può salire sino in cima ad un grattacielo soffrendo di vertigini; non si può scalare una montagna senza un’adeguata preparazione fisica e tecnica. Insomma, non si può nemmeno andare al cinema scegliendo un film semplicemente puntando il dito ad occhi chiusi su un titolo qualunque fra quelli proposti dalla programmazione e poi scoprire che si tratta di ‘The Tree Of Life’. Nel caso insomma ve la siete proprio cercata e se possedete un animo curioso e sensibile ai grandi temi della Natura, dell’Universo e di Dio in senso più lato, se siete disposti a farvi sommergere da un caleidoscopio di immagini, suoni e contenuti davvero inusuali, allora siete stati fortunati, perchè questo film fà proprio al caso vostro. Viceversa se scegliendolo siete stati inesorabilmente superficiali ed imprevidenti, dopo aver trascorso un pò di tempo in totale confusione è quasi scontato che scapperete a gambe levate, annoiati, delusi e tramortiti.

Ma cosa c’è di così complicato in quest’opera che già nella scheda di presentazione viene definita come filosofica e surreale? Partiamo da una constatazione: in un mondo dominato dal materialismo, dall’apparenza, dall’egoismo e dal cinismo, trovare un autore che va controcorrente e si ferma a riflettere su tematiche come l’incontro/scontro fra infinitamente grande e piccolo che convivono dentro noi stessi e poi, allargando il raggio, nel nostro pianeta ed andando ancora oltre nel resto del firmamento, sino ad interrogarsi sull’origine ultima della vita, è perlomeno inusitato, se non decisamente sorprendente. L’albero della vita (che è la traduzione letterale del titolo originale e le cui ramificazioni, riprese dal basso con il cielo come sfondo, ricorrono non a caso più volte nel corso del film) è esattamente questo: una definizione con la quale Terrence Malick definisce questo suo viaggio visionario, tortuosamente interiore e filosofico. Se poi aggiungiamo gli inevitabili riferimenti di stampo trascendentale, in un cinema che molto spesso, anche quando parla di argomenti inerenti la natura delle cose, l’esistenza di altri mondi o forme di vita è invece decisamente sbilanciato verso gli aspetti più spettacolari, ludici e superficiali, trovarsi davanti ad un’opera che inchioda lo spettatore ad un franco confronto con se stesso, ponendolo di fronte a domande che spesso invece tende deliberatamente ed opportunamente a scantonare, privilegiando il concetto più comodo e pratico del ‘carpe diem’, è un altro motivo di sorpresa, oltrechè una rarità in ambito cinematografico e non solo.

Il percorso di ‘The Tree Of Life’ (non è infatti il caso di parlare di trama nei termini canonici stavolta) è suddiviso idealmente in quattro parti, complementari fra loro, come i movimenti di una sinfonia, anche se non seguono esattamente l’uno all’altro dal punto di vista sequenziale. E’ come se Malick si fosse imposto in certi momenti delle pause di riflessione, per poi lasciarsi andare ad alcune esortazioni e commenti, spesso solo sussurrati fuori campo, relativi a quesiti di natura spirituale ed esistenziale (‘…Signore perché, dov’eri?… Chi siamo noi per te? Rispondimi… Come sei arrivato a me, sotto quale forma, con quale aspetto?…‘). Il riscontro a questi accorati interrogativi non esiste naturalmente, a meno di aggrapparsi ad un puro atto di fede, ma la fonte dalla quale provengono è in questo caso una famiglia come tante, che si trova improvvisamente travolta da un dramma fra i più difficili da accettare, tantomeno da comprendere, come può essere quello della morte prematura di un giovane, il secondo di tre figli. La Natura, che qualcuno chiama Destino e qualche altro invece associa direttamente a Dio, non è stata tenera nei confronti degli O’Brien, non si è fermata in tempo, misericordiosa, per evitare che un fatto così doloroso potesse verificarsi e colpire chi, nello specifico ed in particolare, non lo merita di certo. Una considerazione che riemerge ogni qual volta si verifica un evento drammatico il quale, più risulta dipendente dalla natura impersonale che ci circonda e/o dal caso e maggiormente ci appare difficile da accettare. Un terremoto, ad esempio, per citare un fenomeno ahimè di triste attualità, il quale colpisce indiscriminatamente bambini, adulti e vecchi, case, ospedali, monumenti ed opere d’arte. ‘The Tree Of Life’ evidenzia come grandi e piccoli eventi che riguardano il binomio uomo e natura, sino ad espandersi agli spazi infiniti ed impenetrabili dell’universo, si verificano ineluttabilmente, senza seguire norme etiche o regole prestabilite. L’unica consapevolezza perciò è quella di far parte di un disegno del quale non conosciamo nè lo schema, nè le finalità, se non affidandosi ancora una volta alla figura-ombrello di Dio, il quale per definizione è buono e giusto.

Nella seconda parte quindi il film mette in relazione fra loro con un ardito parallelismo due entità apparentemente distanti come possono essere il microcosmo di una normale famiglia in un anonimo paesino del Texas ed una serie di macroscenari ed eventi naturali a livello planetario che possiamo definire a seconda dei casi maestosi, come un’imponente cascata; rassicuranti come lo scorrere placido dell’acqua nel letto di un vasto fiume; oppure catastrofici, come le immani esplosioni solari o le nubi piroclastiche di un vulcano che improvvisamente copre tutte le zone circostanti. Non c’è logica e giustizia comunemente intese nelle leggi della Natura insomma, così come spesso d’altronde anche in quelle degli uomini che tendono ad imitarla. Gli avvenimenti si verificano seguendo schemi misteriosi ed apparentemente casuali, così come lo sviluppo scomposto e disordinato di questa sorprendente e lunga sequela di immagini che unisce e mescola fra loro elementi del tutto diversi per composizione, grandezza ed ambito: dalla più piccola cellula al più grande pianeta del sistema solare, Giove; tutti ingredienti funzionali, pur in diversa misura e struttura, a comporre il creato.

Adeguarsi al metodo espressivo utilizzato da Malick in questa sua ultima opera, che è sia di natura mistica che filosofica, richiede allo spettatore una notevole disponibilità. Il suggerimento è quello di avvicinarsi ad un cerbero del genere con l’adeguata predisposizione a reggerne lo sforzo intellettuale, volgendone a proprio vantaggio le conclusioni, qualora si riesca a raggiungere un comun sentire con l’autore, superando la più facile e sbrigativa tentazione di considerarlo impenetrabile, snob e persino irritante. Se il miracolo si concretizza diventa allora più facile sciogliere i nodi di un intreccio che è spesso ondivago, passando dal particolare di una storia familiare come tante altre con i suoi episodi di normale quotidianità, al dramma che poi la travolge, per giungere ad un’altalena narrativa di stampo metafisico che si conclude, come vedremo in seguito, in una lunga sequenza che è in realtà una sorta di preghiera. 

La famiglia O’Brien è composta da cinque persone: i genitori, i cui nomi di battesimo non vengono mai svelati (interpretati da Brad Pitt e Jessica Chastain, a dire il vero nel suo caso un’amica la chiama ad un certo punto Emma, seppure quasi bisbigliando) ed i loro tre figli maschi: Jack, RL e Steve, tutti giovanissimi ed abbastanza vicini d’età. Un nucleo familiare appartenente alla middle-class di provincia che vive in un ordinato ed elegante paesino del Texas degli anni cinquanta, con larghe strade nelle quali passano ancora poche auto e grandiosi viali alberati. Il padre è un uomo d’estrazione militare, ligio alle tradizioni. Una persona seria e rispettabile nel suo lavoro quanto è considerato dalla comunità cui appartiene. Un uomo di sani principi, qualcuno potrebbe suggerire, severo, esigente ed intransigente con i figli, dai quali pretende di essere chiamato ‘signore’ e la cui educazione, a suo modo di vedere, non può prescindere dalla consapevolezza di vivere in una società fondata sul concetto di ‘homo homini lupus’. Per affrontarla perciò bisogna crescere con un’adeguata preparazione, come afferma lui stesso al figlio maggiore Jack: ‘…se sei buono, la gente se ne approfitta. Tanti grandi dirigenti lo sai come sono arrivati dove sono? Si sono barcamenati in mezzo alla corrente. Non permettere a nessuno di dirti che non puoi fare qualcosa. Non fare come me, promettimelo. Io sognavo di diventare un grande musicista ma mi sono lasciato distrarre. Ero in attesa che succedesse qualcosa, e quel qualcosa era l’attesa. È la vita e va vissuta… ‘. Una frase, quest’ultima in particolare, che avrebbe sottoscritto anche il tenente Drogo ne ‘Il Deserto Dei Tartari’.

Mentre il duro Brad Pitt rappresenta in questo caso la razionale brutalità della Natura, la brava ed algida Jessica Chastain invece è la Grazia, cioè il suo contraltare, la dolcezza, la comprensione, l’amore senza riserve. Il film stesso perciò inizia con una citazione biblica di Giobbe (cui Natura e Grazia si riferiscono) ed una frase emblematica: ‘…ci sono due vie per affrontare la vita: la via della natura e la via della grazia. Sta a te scegliere quale delle due seguire…‘. I tre ragazzi ovviamente adorano la madre e temono il padre sino ad arrivare ad odiarlo, salvo poi, come nel caso di Jack, ammettere più avanti che gli somiglia: ‘…Io sono cattivo quanto te, sono più come te che come lei…‘. Questa antitesi familiare, nel suo piccolo, è un’allegoria dei più grandi contrasti che si verificano costantemente in Natura, come parte di un indefinibile percorso che è in continuo movimento, fra grandi contrapposizioni e spietate regole per la sopravvivenza. 

‘The Tree Of Life’ non solo non contiene una trama comunemente detta, nonostante quanto appena descritto potrebbe far supporre invece il contrario, ma neppure un’interpretazione univoca. Non c’è una verità facilmente riconoscibile e catalogabile in quest’opera, dettata dall’autore per così dire (che è quanto di più schivo, caratterialmente, si possa immaginare), quanto semmai una serie di spunti e di indicazioni che solleticano delicate corde interiori, perlomeno nelle persone pronte a percepirle, poco importa se sullo stesso piano oppure differentemente le une dalle altre. Alla stessa stregua della musica insomma, che è costituita da un insieme di note, le quali però opportunamente combinate fra loro generano melodie che suscitano sentimenti molto diversi in chi l’ascolta. Si pensi, ad esempio, alle differenti reazioni che muove un brano rock rispetto ad una sinfonia classica.

‘The Tree Of Life’ è un’opera che non dà certezze, ma pone un’insieme di contrapposizioni ed interrogativi di origine pratica, religiosa e filosofica. <Perchè> è l’avverbio interrogativo che ricorre più spesso nel corso dello svolgimento, intorno al quale si muove e si sviluppa tutto il resto. Non ricordo altro film, dopo ‘2001 Odissea Nello Spazio’, che scavi così in profondità nei misteri della vita e sull’interazione fra uomo/uomo, uomo/spazio e uomo/Dio. Un Dio cercato, voluto, presente ed assente, a seconda dei casi e delle persone sorrette dalla fede o meno, che non parla e non dà spiegazioni, soprattutto quando l’uomo ne avrebbe maggiormente bisogno. Un Dio che qui appare raffigurato in forma evanescente, simile ad un’alba boreale in almeno un paio di punti chiave del film: all’inizio ed al termine. Dio, che può essere potente e travolgente come una muraglia d’acqua; grande e brillante come il sole; infinitesimale e misterioso come una cellula; affascinante e temibile, presente e sfuggente al tempo stesso. Le immagini che si susseguono, come pietre rotolanti in disordinata ma straordinaria e conturbante sequenza, ci mostrano paesaggi ed angolazioni prospettiche di rara bellezza ed armonia, contrapposte ad altre invece di aspra violenza ed incommensurabile forza. La storia dell’uomo ne ricalca l’archetipo, seppure la sua presenza sul pianeta Terra a livello temporale corrisponde non più che al ‘the end’ che precede i titoli di coda di un film di lunga durata.

Terrence Malick si è servito per il montaggio di un pool di professionisti, scelti in base alle differenti parti per le quali a suo giudizio erano più adatti: Hank Corwin, Daniel Rezende, Jay Rabinowitz, Billy Weber e Mark Yoshikawa. Anche questo forse rende l’idea della complessità per realizzare quest’opera e dell’attenzione che gli ha dedicato il regista. Per la fotografia egli si è invece rivolto a Emmanuel Lubezki e per le musiche di Alexandre Desplat al fine di rendere perfettamente funzionali questi indispensabili elementi tecnici l’uno con gli altri, fondendoli in un tutt’uno omogeneo e senza dimenticare il contributo per gli effetti speciali di Douglas Trumbull, un altro punto in comune  con ‘2001 Odissea Nello Spazio’.

La morte del secondogenito ha sulla famiglia O’Brien l’effetto del meteorite che è caduto sulla terra alcuni milioni di anni fà, determinando un cambiamento radicale del clima e la fine dell’era dei dinosauri, che avevano dominato sino ad allora (la scena nella quale un dinosauro trova lungo il corso di un fiume una preda che potrebbe facilmente divorare ed invece sorprendentemente la risparmia, meriterebbe da sola una lunga analisi, ma forse l’affermazione che segue ne fornisce una possibile spiegazione). Le esternazioni della madre, sino a quel punto silenziosa e concentrata unicamente a ricoprire d’attenzioni e d’affetto i suoi figli, sono emblematiche al riguardo: …la Grazia non mira a compiacere se stessa, accetta di essere disprezzata, dimenticata, sgradita, accetta insulti e oltraggi. La Natura vuole invece solo compiacere se stessa e spinge gli altri a compiacerla; le piace dominare; le piace fare a modo suo. Trova ragioni d’infelicità quando tutto il mondo risplende intorno a lei e l’amore sorride in ogni cosa…‘. Anche il padre non è rimasto meno spiazzato, sentendosi colpevole sino a maturare una severa autocritica:  ‘…non ho mai avuto l’occasione di dirgli quanto mi dispiaceva. Una sera si è dato un pugno in faccia senza alcuna ragione. Era seduto accanto a me al piano ed io l’avevo criticato per come girava lo spartito. Gli ho fatto provare vergogna… la mia vergogna… povero bambino… povero bambino…‘. Emma non si rassegna alla perdita e da madre esemplare per dolcezza, pazienza ed affabilità diventa persino caustica. Il prete durante la cerimonia funebre del figlio per consolarla le dice: ‘…ora è nelle mani di Dio…‘, e lei risponde con una nota d’assenso e di polemica al tempo stesso: ‘…è sempre stato nelle mani di Dio…‘. 

Nella terza e nella quarta ed ultima parte di ‘The Tree Of Life’ (ripeto che questa suddivisione non è dichiarata nel corso del film, ma è una mia interpretazione personale) Malick è come se, in un certo senso, avesse deciso di fermarsi e ripartire daccapo, dopo una prima e seconda parte che sono servite a mostrare la precarietà e la provvisorietà degli equilibri all’interno della famiglia O’Brien, fino alla morte del figlio che, di fatto, la destabilizza, in maniera analoga agli eventi di più larga portata che riguardano la Natura. Il regista americano, in quello che può essere definito l’unico capitolo della sua opera che segue i normali canoni di una trama, riparte dall’antefatto, imbastendo una sorta di percorso a ritroso il quale, per restare in metafora, dai rami più alti in cui si era spinto in precedenza arriva sino alle radici dell’albero sinonimo della vita. Malick infatti nel riconsiderare la sorte della famiglia O’Brien torna indietro nel tempo sino alla nascita del primo figlio e poi a seguire gli altri due e ripercorre i passi della loro crescita ed educazione sino all’adolescenza, per chiudere il capitolo nel momento in cui sono costretti ad abbandonare quel posto, oramai familiare e cambiare città: un altro viaggio permeato di nuove incognite. Prevale in questo caso la descrizione, come se una videocamera amatoriale stesse riprendendo e registrando episodi di normale quotidianità, eventi banali, piccole gioie e dolori, bugie, torti, cattiverie gratuite dentro e fuori la famiglia e fra i bambini stessi, dei quali vediamo percorrere i primi passi, imparare i primi giochi, sotto lo sguardo orgoglioso del padre e l’ala protettiva di una madre premurosa, paziente e dolce. Veniamo così ad approfondire la figura del padre, le sue contraddizioni, ossessionato com’è dai suoi stessi limiti che sfoga naturalmente sulla moglie ed i figli: (‘il mondo è andato a rotoli, la gente è avida ed è sempre peggio, cercano di tenerti in pugno…‘); dalle sue frustrazioni di carriera: (‘…sai Jack, io ho sempre voluto che tu diventassi forte per non dover rendere conto ad un capo. Sono stato duro con te, non ne vado molto fiero. Siete l’unica cosa che ho fatto nella vita, per il resto non ho combinato granché. Siete tutto quello che ho, quello che voglio avere, figlio mio adorato…‘); dalle sue ambizioni deluse: (‘…volevo essere amato perché ero importante, un grande uomo, ma non sono niente. Guarda lo splendore intorno a noi, alberi, uccelli. Ho vissuto nella vergogna, ho umiliato lo splendore e non ne ho notato la magnificenza… che uomo stolto…‘); dalla ricerca spasmodica della perfezione: (‘Toscanini una volta incise un pezzo sessantacinque volte. Sai cosa disse quando finì? Poteva venire meglio…‘ oppure ‘…non puoi dire, non sono capace. Dici, ho dei problemi, non ho ancora finito…‘.

In questa fase che anticipa la tragica conclusione della quale siamo già a conoscenza, diventa sempre più ‘rumoroso’ il silenzio di Dio, la sua assenza, la richiesta pressante di risposte che cadono miseramente nel vuoto, a provocare il disorientamento di chi come gli O’Brien s’interroga in seguito sul perchè il Signore non viene loro incontro nel momento della difficoltà e non dà risposte e rassicurazioni, pur essendo sempre stati a Lui devoti ed avendolo sempre onorato con la fede: (‘…chiudono la stabilimento, mi hanno fatto scegliere, niente lavoro o il trasferimento a fare un lavoro che nessuno vuole. Non ho mai saltato un giorno di lavoro, sono andato a messa ogni domenica…‘), dice il marito, mentre Emma coltiva in cuor suo ancora la speranza di potersi ricongiungere il più presto possibile con il figlio perduto: ‘…luce della mia vita, io ti cerco, mia speranza… mia creatura…‘.

Qualcuno, molto attento, potrebbe aver già notato che non ho ancora accennato alla figura di Sean Penn, il quale interpreta il primogenito Jack da adulto. Eppure egli è a tutti gli effetti l’io narrante della storia, colui attraverso il quale vengono filtrati tutti gli accadimenti cui assistiamo. In realtà l’abbiamo già incontrato in alcune sequenze spot, quando la mattina appena alzato da letto accende un lumino in ricordo del fratello scomparso, oppure da architetto quando l’osserviamo rimirare confuso ed incerto le imponenti forme geometriche dei grattacieli dove lavora e che presumibilmente ha contribuito egli stesso ad innalzare. Queste enormi costruzioni dalle linee rette che si stagliano nel cielo e sembrano tendere verso l’infinito, fanno da contrasto e sfondo agli sciami di uccelli che danzano intorno a loro, disegnando a loro volta plastiche, casuali ed eleganti forme. Qualcuno fra i denigratori di quest’opera in proposito ha avanzato l’ipotesi che ‘The Tree Of Life’ sia in realtà niente più che uno screen-saver che dura oltre due ore.  

Jack è continuamente tormentato dal ricordo del fratello morto prematuramente e da un rapporto conflittuale mai risolto con il padre, a maggior ragione dopo quel dramma. Egli in passato ha persino desiderato che il padre morisse, non sopportando più le sue angherie, i suoi ordini ed di dover sottostare alle sue assurde domande: ‘…vuoi bene a tuo padre?…‘ alle quali doveva rispondere: ‘…Sissignore…‘. Una volta ha resistito non senza qualche esitazione alla tentazione di rimuovere il crick dell’auto per farla crollare addosso al padre il quale, sdraiato per terra, stava eseguendo una riparazione. Un’altra volta aveva tentato di abbracciarlo, elemosinando un gesto di tenerezza, ma il padre l’aveva poco dopo discosto lasciandosi sfuggire un impercettibile moto di imbarazzo, salvo in seguito lasciarsi andare ad una specie di ‘coming out’, proprio davanti a Jack, riguardo la sua inadeguatezza di uomo che è uscito umiliato dalla decisione dell’azienda nella quale lavora di accettare un incarico di ripiego ed un trasferimento in un’altra città pur di non perdere il posto di lavoro. Nonostante tutto ciò Jack è cresciuto, è diventato un uomo affermato ed è persino riuscito a recuperare un rapporto sereno con il padre, come avviene spesso d’altronde, quando le asperità caratteriali con il tempo si smussano ed i figli si riavvicinano ai loro genitori comprendendone la difficoltà del ruolo e rivivendone spesso sulla loro pelle problematiche simili.

L’ultima parte del film è una festa per gli occhi ma è anche quella più ostica nel significato e nella sua interpretazione. Affascinante dal punto di vista visivo ed intrigante da quello metaforico, essendo incentrata su un viaggio al di fuori del tempo e dello spazio che Jack intraprende, come se il suo tormento spingesse a risolversi in una nuova dimensione di luogo e di tempo. L’ingresso senza porta che appare davanti a lui in un angusto luogo fra rocce e dune, laddove nella realtà non potrebbe mai esistere, è chiaramente un’allegoria di passaggio e potrebbe anche intendere l’accesso al Paradiso, per quanto è dato sapere. Una volta al di là egli rivede se stesso quand’era ancora adolescente e dopo aver vagato in alcuni luoghi molto diversi fra loro, come se seguisse una traccia confusa, egli giunge infine su quella che si potrebbe definire, riferendosi ad un gioco di parole, l’ultima spiaggia. Nell’ampio bagnasciuga si scorgono delle persone che vagano solitarie, apparentemente senza meta, ma in un luogo di pace (e resurrezione?) nel quale improvvisamente si ricongiungono mogli e mariti, figli e famiglie intere, inclusa la sua. Esse sono tutte persone che Jack ha conosciuto quando era ancora un ragazzo e fra di loro c’è anche il fratello scomparso che ritorna ad essere nuovamente vivo e vegeto, come se nulla fosse accaduto, il viso fra le mani della madre e sollevato quindi dal padre incredulo e riconoscente. L’abbraccio che unisce Jack (il quale non è mai regredito a livello infantile durante tutto il corso di questo binario surreale) al resto della sua famiglia, finalmente ricomposta, sancisce la fine del suo travaglio interiore (il tramonto del sole all’orizzonte ne è ulteriore conferma), facendo emergere l’unica certezza fra tanta confusione ed è ancora una volta la voce fuori quadro della madre a proferirla: ‘Amate tutti, ogni foglia, ogni raggio di luce, perdonate…‘. E’ solo attraverso l’amore, sembra voler suggerire Malick, che è possibile superare ogni ostacolo, ogni incomprensione e riconciliarsi pure con Dio: ‘Proteggici, guidaci, fino alla fine dei tempi…‘. Non è più una questione di <perchè>, ma una preghiera propositiva che aiuta a convivere serenamente con i misteri della vita ed a trovare la necessaria armonia per vivere in pace con se stessi, gli altri e la natura circostante.

Palma d’Oro a Cannes, ‘The Tree Of Life’ è sorretto oltrechè da una grande regia, per la parte tecnica già citata anche da una corposa colonna sonora, merito di Alexandre Desplat, che è riuscito ad interpretare al meglio le aspettative di Terrence Malick: ‘…la cosa principale che Terry mi ha detto, è che le musiche dovevano scorrere come l’acqua nel corso della pellicola. Così, ho cercato di fornire la sensazione di un fiume…‘. In effetti l’acqua, lo scorrere quieto lungo il fiume o tumultuoso nelle vertiginose cascate è un elemento che ricorre spesso nel film, anche dal punto di vista del suono, con il suo significato purificatore ed al tempo stesso come elemento generatore di vita. Desplat, rielaborando composizioni di Tavernor, Preisner, Berliotz, Ligeti (altro punto di contatto con ‘2001 Odissea Nello Spazio’) è riuscito nell’impresa non da poco di dare corpo alle immagini così che socchiudendo brevemente gli occhi si possa continuare a ‘vederle’ ancora, semplicemente seguendo il ‘rumore’ della musica.

Brad Pitt è oramai un attore maturo che bissa in questo caso l’ottima prova fornita in ‘Bastardi Senza Gloria’ di Tarantino. A chi criticava questo film, egli ha ribattuto sostenendo che si tratta di poesia in forma cinematografica. Io non so se ciò sia vero, se la famosa battuta di Fantozzi a proposito de ‘La Corazzata Potemkin’ si applica anche in questo caso (‘…è una boiata pazzasca!‘). Quello che si può dire è che, superato l’inevitabile sconcerto iniziale e la diffidenza verso un’opera che resta in ogni caso ostica, se ne subisce però anche il fascino, catturati e stregati dallo scorrere dirompente delle immagini e da qualcosa di veramente diverso dal solito sotto tutti i punti di vista, sino a sentire il bisogno di rivederla, masochisticamente, potrebbe aggiungere qualcuno con un pò d’ironia, per approfondirne alcuni passaggi.

Concludendo: è un film da evitare accuratamente, oppure vale la scommessa di assistere a qualcosa che supera l’ordinario, con il necessario spirito, senza prevenzione, ma lasciandosi andare lungo il fluire del racconto, mettendo da parte la pretesa di capire sempre e comunque tutto? Ogni persona, di fronte ad uno spettacolo del genere, reagisce inevitabilmente in modo differente; perchè in fondo, se per quanto riguarda la sua stessa vita nessuno credo possa affermare, o essere così presuntuoso da farlo, di aver compreso tutto, per un film che affronta coraggiosamente argomenti così spigolosi per quale ragione dovrebbe essere diverso?

2 pensieri su “Film: ‘The Tree Of Life’

  1. Complimenti assai per il commento e la lettura da te proposta per questo splendido film. L’ho trovata molto approfondita e ricca, attenta nel cogliere e nel mettere in evidenza la profondità dell’opera di Malick. Confesso poi che anch’io, inizialmente, ero rimasto perplesso e basito, eppure consapevole di essere di fronte a uno spettacolo complesso e pregno di significati e suggestioni. E avevo ben ragione!!!

    PS: a mia volta stavo esprimendo una “sbrigativa” considerazione su quanto visto sulle pagine del mio blog: ne approfitto per linkare questa tua pagina, se non ti spiace

    • Ti ringrazio Leonardo, inutile nascondere che i complimenti fanno sempre piacere. A maggior ragione poi se vengono riguardo un film atipico come ‘The tree of life’. Non può che farmi piacere poi il link alla mia pagina sul tuo blog che consiglio a mia volta ai miei lettori (http://leonardocolombi.blogspot.it). Anche la tua recensione a questo film, che ho appena letto, è molto approfondita ed interessante.

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